Marchiondelli

Sherry Turkle è psicologa, sociologa, tecnologa e professoressa al MIT, il Massachussets institute of Technology di Boston.
Nel 2001 ha fondato il “MIT initiative on technology and the self“.

Oggetto di studio è l’aspetto soggettivo della tecnologia, il suo impatto sul nostro modo di pensare. La psicofarmacologia, la robotica, le nanotecnologie, l’ingegneria genetica, le biotecnologie e l’intelligenza artificiale sono fanno tutte sorgere domande sulla identità, il sé, la comunità e cosa significhi essere umani.
L’obbiettivo è non solo la ricerca ma anche l’incremento della consapevolezza generale sui risvolti sociali e psicologici dei cambiamenti tecnologici.

Autrice di altri libri su questi argomenti come
La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet

e il “Secondo io” edito in italiano ma purtroppo esaurito, lo trovate in Inglese col titolo
The Second Self: Computers and the Human Spirit

Il suo ultimo libro è “Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri” che trovate in italiano sia in formato Kindle che in edizione cartacea.


La tesi di questo libro è che

Le nuove tecnologie alla base della comunicazione digitale contemporanea ci fanno credere di essere meno isolati perché sempre connessi. Si tratta però dell’illusione di una reale intimità: i nostri profili online esistono in funzione del numero dei contatti, oggetti inanimati e intercambiabili che acuiscono il senso di solitudine. Allo stesso tempo si sta completando il ventaglio dei rapporti possibili con i robot, dall’ipotesi di affidar loro i propri figli a quella di farne dei veri e propri partner. Questo è il paradosso indagato da Sherry Turkle: mentre gli amici in rete sono in realtà presenze prive di sostanza, molti desiderano, talvolta disperatamente, attribuire emozioni umane ai robot. “Insieme ma soli” è una storia di dissociazione emotiva ma anche di speranza, perché anche dove la saturazione digitale è maggiore, molti, soprattutto fra i giovani, si interrogano su cosa sia davvero il rapporto umano, e chiedono un ritorno a forme più naturali di dialogo. Alla fine Facebook, il BlackBerry e l’iPhone ci spingono a ricordare chi siamo veramente: esseri umani con scopi umani.

Forse lo avete già visto circolare, ma vale la pena rivederlo questo video sugli effetti degli smartphone nelle relazioni:

Recentemente è stata intervistata da Bill Moyers, giornalista americano liberale, che conduce uno show settimanale “Moyers & Company” diffuso dal 2012 dalla televisione pubblica americana.

Sherry Turkle on Being Alone Together from BillMoyers.com on Vimeo.

Se volete, potete leggere la trascrizione (in inglese) del video.

Già basterebbe tutto questo materiale per fare delle riflessioni: negli ultimi anni i telefonini e in particolare i social media come twitter e facebook (ma non solo) hanno stravolto il modo di comunicare e relazionarsi.

Basta guardarsi un po’ attorno e troverete almeno un esempio di comportamento come quelli evidenziati nel video.

Non ci dimentichiamo che in un paese con 60 milioni di abitanti (tutti compresi, ovvio: dai neonati agli ultracentenari) circolano ben 82 milioni di cellulari, e sono 38,4 milioni gli Italiani che hanno dichiarato di accedere a internet da qualsiasi luogo e device (fonte: Ricerca Audiweb sulla diffusione dell’online in Italia)

Secondo Eurispes

La maggioranza degli italiani usa il cellulare anche per fare foto/filmati (59,5%), il 44,1% lo usa per inviare/ricevere foto/video, il 40,1% le applicazioni, il 39% per navigare su Internet, oltre un terzo per lavorare (37,3%) e per ascoltare la musica (37%). Un terzo (32,2%) gioca col telefono, il 29,7% usa i Social Network. (fonte: Rapporto Italia 2013)

 

A chi sostenesse che situazioni come quelle del video “I forgot my phone”, che ha ricevuto ben oltre 25 milioni di visite, siano vere solo all’estero, offro una versione italiana fatta dal programma un due tre stella, ecco il video:

L’impatto della tecnologia nella forma di pensare e comunicare non è un fenomeno nuovo, come non lo sono i detrattori di ogni novità ed i fan ad oltranza.

Già Socrate, come riporta Platone nel Fedro, si lamentava dello sviluppo della comunicazione scritta, su cui la gente avrebbe fatto sempre più affidamento come sostituto della conoscenza da portare dentro di sé, nelle proprie teste.

Nel dialogo infatti Socrate, riportando la saggezza degli antichi egizi,  dice della scrittura:

Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l’avrà appresa, perchè non fa esercitare la memoria.

In tempi più moderni c’è la testimonianza di un altro famoso filosofo, Nietzsche che, per problemi di vista, nel 1882 acquistò una macchina da scrivere. Una volta padroneggiato lo strumento, egli fu in grado di scrivere ad occhi chiusi, facendo fluire i pensieri direttamente dalla punta delle dita. Un suo amico musicista però notò un sottile cambiamento nella prosa del filosofo che, già scarna, divenne ancora più telegrafica.

Qual è la strada giusta da prendere?

Io credo che sia sempre necessario un equilibrio: “In medio stat virtus” dicevano i romani. e così la penso anche io.

Perchè un eccesso di tecnologia, potrebbe avere certamente effetti sconcertanti. Come Joe Kraus rappresenta bene in questa immagine, usata durante una presentazione sulla nuova cultura della distrazione, la nostra mente sarebbe come il corpo di un culturista che esercita solo alcuni muscoli.

Schermata 2013-10-21 alle 11.30.21

Una immagine certo esagerata quella che ci offre Kraus, ma che va dritta al punto: se ci concentrassimo troppo sulla tecnologia e ci facessimo un eccessivo affidamento, saremmo come questo culturista, che ha esercitato solo i muscoli della parte superiore del corpo. Ridicolo, no?

La soluzione quale sarebbe allora? Bandire la tecnologia? non usarla mai?

Anche in questo caso Joe Kraus ci offre una immagine divertente che fa capire come questa alternativa sia in realtà una non-soluzione.
Schermata 2013-10-21 alle 11.31.56
Non esercitare alcun muscolo non ci porterà risultati migliori, ma indebolirà e renderà meno efficace,meno sviluppato l’intero organismo.

La soluzione, come dicevo, e come sostiene saggiamente Joe Kraus, è un compromesso, un equilibrio che renda armonico lo sviluppo, senza rifiutare le tecnologie, ma facendole alleate e amiche. Egli sceglie, nella sua presentazione questa immagine:

Schermata 2013-10-21 alle 11.32.09Nel suo discorso egli sostiene che allo sviluppo della parte superiore del corpo, il culturista dovrebbe accompagnare uno sviluppo armonico della parte inferiore.

Questa immagine  però a me fa più pensare ad una adozione totale e massiccia delle tecnologie, tali da rendere ipertrofico l’organismo, aumentando il problema.

Avrei scelto piuttosto l’immagine che già Leonardo Da Vinci proponeva nel 1490, il famoso uomo vitruviano, rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano

Schermata 2013-10-21 alle 11.49.22

Credo che la risposta di Kraus, quel consumo pacato ed equilibrato della tecnologia che egli chiama “slow tech” sia quella giusta ai problemi sollevati da Sherry Turkle e lui stesso.

Come nel caso del movimento “Slow food” il famoso movimento di Carlo Petrini che ha per motto  buono, pulito e giusto applicato al cibo e alla sua produzione e consumo, la proposta del movimento slow tech è di fare che la tecnologia sia di aiuto a vedersi veramente l’un l’altro e non un mezzo per trasportare la nostra attenzione altrove continuamente, aiutandoci a creare vere relazioni, favorendo la comprensione e l’approfondimento.

Non si tratta di buttare via il telefonino o il tablet o il computer: ricordate le immagini riportate poco sopra.

Un uso sapiente di queste tecnologie, che per la prima volta nella storia dell’umanità hanno effetti non solo sul lavoro e la produttività ma anche sullo stile di vita è la risposta più adeguata.

Perchè rinunciare ad uno strumento come internet (ed i dispositivi per accedervi) che mi permette di seguire corsi a distanza, che mi permette di rimanere informato sulle vicende dei miei amici lontani, che mi permette di lavorare e divertirmi meglio?

Per non cadere in un uso patologico, da dipendenza, dovremmo da una parte superare la nostra paura della noia, l’ansia di non avere abbastanza stimoli, dall’altra dovremmo esercitare di più il muscolo della attenzione a lungo termine, della meditazione profonda e rilassata.

Come? Abbandonate la rete, il vostro telefono, computer, tablet per un quarto d’ora al giorno. E in quel quarto d’ora  fate delle attività che stimolino quelle parti del cervello: una passeggiata, per esempio. O una doccia… dopotutto non siamo tutti più creativi in quel momento? Non vi va ne una ne l’altra attività? non importa. Quello che importa è che ogni giorno facciate qualcosa che vi aiuti a rallentare. E sviluppare l’altra parte del corpo…